Così ci spiano : la Cia impainta malware nelle Smart TV

Informatica Taranto

L’ultima generazione di sistemi con cui l’Agenzia può entrare nelle nostre vite, trasformando anche un innocuo televisore in un sistema che capta ogni conversazione nel salotto di casa nostra. Entrando nell’intimità dei momenti più privati, penetrando persino i dispositivi smart che formano l”internet delle cose”, il futuro molto prossimo dell’economia mondiale.

L’organizzazione di Julian Assange potrebbe essere in possesso di migliaia di altri documenti e addirittura delle armi cibernetiche della Central Intelligence Agency: l’Agenzia, infatti, stando a quanto rivela il team di Assange, ha perso il controllo del suo cyber-arsenale.

Dai documenti affiora anche un riferimento diretto a vicende italiane: l’Agenzia statunitense si è interessata al caso di Hacking Team, l’azienda milanese di cybersorveglianza. Quando nel 2015 la società è stata penetrata da hacker mai identificati, la Cia ha deciso di analizzare i materiali finiti in rete. “I dati pubblicati su internet includono qualsiasi cosa uno possa immaginare che un’azienda abbia nelle proprie infrastrutture”, scrive l’Agenzia, “nell’interesse di apprendere da essi e di usare (questo) lavoro già esistente, è stato deciso di fare un’analisi di alcune porzioni di dati pubblicati”.
La preoccupazione era emersa già due anni fa, ma era stata liquidata come una paranoia. E invece non lo è affatto. Siamo seduti in soggiorno a goderci un film. Una tv smart campeggia nel nostro salotto e noi siamo lì nell’intimità della nostra casa, parliamo o ceniamo, ci confidiamo, convinti che nessuno possa scalfire quel momento nostro. E invece no. I file rivelano che fin dal 2014, la Cia è in grado di impiantare software malevolo (malware) nelle tv smart collegate al web. Il modello citato esplicitamente nei documenti è quello di uno dei più famosi marchi. Il malware permette all’Agenzia di catturare le conversazioni che avvengono all’interno della stanza in cui si trova lo schermo. E’ la prima certezza dello sfruttamento ai fini della violazione della privacy dell'”internet delle cose”: la serie di elettrodomestici e dispositivi che usiamo nella vita di tutti i giorni e che non sono più “stupidi” oggetti semplicemente collegati a un filo elettrico, ma hanno sensori e programmi in grado di farli operare in internet. Quella stessa rete che li rende intelligenti, li rende anche vulnerabili alle spie.

La caratteristica di questi “cavalli di Troia” è che possono spiare anche WhatsApp, Signal, Telegram, Wiebo e altri canali di messaggi, normalmente ritenuti più sicuri, perché ne aggirano le protezioni crittografiche: riescono a raccogliere audio e testi prima che scatti la difesa della “scrittura segreta”.

Fonte: repubblica.it

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